I miei libri
Marianna Manzullo è nata il 10 dicembre 1976 a Maschito, un piccolo paese della Lucania, dove attualmente vive e lavora.
Ha conseguito il baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, a Napoli.
Venuta a contatto con il fascino del simbolismo del corpo umano, così come lo si trova nella mistica ebraica, ha iniziato parallelamente un percorso di studi naturopatici presso l’Istituto di Naturopatia applicata “ Rudy Lanza”, con sede a Roma.
Ha già pubblicato un’antologia poetica dal titolo Il canto delle ore per la casa editrice Libroitaliano World e la poesia Custos, quid de nocte? all’interno dell’antologia “ HABERERE ARTEM”, vol. XII, della Aletti Editore.
La sua ultima antologia, Io sono. Declinata in mille modi, è edita per il Gruppo Albatros Il Filo.
Il libro non nasce come si suol dire ‘a tavolino’, non è il frutto di uno sforzo creativo razionalizzato.
Vedete, quando s’intende scrivere un romanzo o un racconto, lo scrittore necessita di una paziente attesa: egli deve aspettare i tempi dell’intreccio, ovvero quel momento ‘magico’ in cui dalla sua creatività nasceranno personaggi, circostanze tali da permettergli di raccontare una storia.
Per la poesia non è così.
Non si attende l’ispirazione, essa arriva improvvisa e rapisce lo scrittore che non può fare a meno di dar voce a quel che sente. E’ un impulso biologico, come più volte ho affermato e come si legge in uno dei versi di questa raccolta, e di più: è un LAMPEGGIAMENTO, permettetemi di usare questo termine, della Realtà che tutto il reale contiene.
In questo senso concordo pienamente con chi considera la poesia un evento MISTICO.
Il lasciare emergere da se versi poetici è come una ‘ferita d’amore’ aperta sul mondo, su se stessi, su Dio.
Ogni poesia nasce in uno stato di grazia, in un momento di svelamento dell’essere.
Il poeta è colui che sa lasciarsi portare dentro, nel profondo della realtà, nella materia e vedervi il divino all’opera. Parafrasando quanto scrisse Thomas Merton, il poeta è colui ‘che sa ascoltare l’albero quando non dice nulla’.
Sia chiaro, il poeta non è uno migliore degli altri, è solo un uomo o una donna con un DONO. Come lo è il fornaio che a suo modo trae dalla materia semplice del grano il nutrimento del pane.
Ma tornando al mio libro, dicevo, le poesie non sono nate ‘a tavolino’, tuttavia è pensata, ragionata e voluta, la suddivisione in quattro parti, con i relativi titoli, e il titolo dell’opera intera.
Mi piace raccontarvi di questo lavoro a 4 RAGGI, partendo dal titolo.
‘Io sono’. Sottotitolo, ‘Declinata in mille modi’.
‘Io sono’: non si tratta di un testo d’indagine psicologica e non è l’affermazione della mia identità egoica. E’ una sorta di diario di viaggio in versi d’un processo, d’un cammino d’identificazione, di individuazione, o più precisamente di unificazione.
Rivela la mia personale ricerca di Unità.
IO SONO, molti lo sapranno, è il primo Nome con cui Dio si rivela all’uomo, secondo la Scrittura, ovvero il testo sacro di riferimento per ebrei e cristiani. In particolare questo Nome è rivelato ad un uomo, Mosè, durante il suo lavoro quotidiano. In un giorno qualunque.
Un po’ come se Dio si rivelasse a noi mentre ‘laviamo l’insalata’.
Il cammino dell’uomo è riconoscere, a partire da questa rivelazione, la presenza del divino che egli porta già in sé, e di identificarsi, unificarsi ad esso, a questo Tu di Dio, che è legato al suo ‘più profondo’ essere.
Nella mistica ebraica, a cui io faccio molto riferimento nella mia vita e dunque nei miei testi, si afferma che l’uomo è un ‘Io sono in divenire’: chiamato ad essere dio, deve ricordare (opera ‘maschio’) questa vocazione originante e originale, unirsi al suo profondo (femminile dell’essere) e giungere così al proprio compimento.
Le quattro sezioni in cui il testo è suddiviso mi piace paragonarle sia ad una porta – con i suoi quattro lati – sia ad una ruota – con quattro raggi -: ciascuna parte è importante allo stesso modo per il cammino verso l’Io sono.
La 1^ parte porta il titolo di ‘LUCE OMBRA’.
E’ il riconoscimento della realtà come plurale, come unione degli opposti.
Considerare se stessi, gli altri, la realtà, come una possibilità di unione degli opposti è una grande ricchezza.
Essere consapevoli della propria storia, collettiva e personale, come una danza tra luce e ombra, dà profonda libertà e speranza.
Nella mistica ebraica l’aspetto di luce-ombra è anche tradotto con i termini di ‘compiuto’ e ‘non ancora compiuto’, espressioni tradotte dall’originale ebraico del testo di Genesi circa l’Albero al centro del paradiso terrestre, comunemente detto ‘della conoscenza del bene e del male’.
Quanto ci sarebbe da dire qui su i danni che questa traduzione ha fatto e fa, rendendo morale ciò che invece è ontologico!
Questa danza tra compiuto e non ancora compiuto contraddistingue la prima parte del testo, e da il ritmo a tutto il libro.
La 2^ parte s’intitola ‘LA MIA TERRA’.
Nessuno nasce e cresce a prescindere dalle proprie radici, dalla propria terra, nel bene o nel male, ed io porto impressa la Lucania in ciò che sono, prima ancora che in ciò che scrivo.
Ho i suoi colori, i suoi odori selvatici, la sua festa e la sua essenzialità. La fatica e il silenzio di volti e paesaggi.
Il mio cammino ha questo bagaglio straordinario, per me, di lucanità.
Porto dentro e addosso la mia maschitanità.
Ho dentro una storia che viene da Oriente, – non ancora nota nella sua bellezza e nella sua violenza, lo credo fortemente! -, una storia piena di fascino e mistero.
L’amore, la passione direi, per le piccole cose, – mai ‘così piccole’! -, penso derivi dal contesto in cui sono cresciuta, fatto di semplicità, di armonia con la natura e le sue stagioni.
Vi è in questa sezione una poesia intitolata ‘Sangue’.
Sul gonfalone del mio Comune, sotto l’aquila a due teste, bianca e nera, c’è una frase in albanese ‘Giakuine I Shprishur’, il nostro sangue sparso.
Penso che ancora non siamo giunti a comprendere la portata, il richiamo che ha per noi questa espressione e che sia necessario intenderla se non vogliamo che la nostra identità, per altro così particolare, sparisca nella vacuità di un villaggio globale che tende ad uniformare ogni cosa.
La 3^ parte è intitolata ‘TU’. Semplicemente.
E’ il racconto in versi del grande dono dell’alterità.
L’atro, che sia pietra di guado o d’inciampo, è sempre essenziale alla nostra vita, soprattutto nella dinamica di un cammino di crescita quale finora ho cercato di descrivere. E’ un mistero di bellezza di per sé, essendo depositario di un mondo che spesso neanche sospettiamo – mi viene in mente la protagonista del romanzo ‘L’eleganza del riccio’, e così tante persone che non stanno sotto i riflettori e brillano in silenzio come piccole stelle -.
L’altro è un mistero magnifico nella relazione che intesse con noi: la relazione se è epifania del volto di Dio, come affermano diversi autori, è dunque epifania del nostro vero volto.
Non c’è nulla di più essenziale della relazione, nulla di più grande.
Eppure, quanto è difficile a volte intessere relazioni che siano salvifiche, che ci costruiscano nella verità, nel bello!
La 4^ e ultima parte s’intitola ‘Per me di fronte a me’.
E’ un’espressione anche questa presa dalla Sacra Scrittura, ancora una volta dal libro della Genesi, patrimonio a cui ciascuno dovrebbe fare riferimento poiché il mito che vi si racconta, nei primi tre capitoli, è ciò che fonda l’Umano.
E’ il raggio della ruota, lo stipite della porta che rappresenta l’amore sponsale.
Un dono incommensurabile, se si ha la grazia d’una relazione autentica, basata sui sentimenti e non sull’emotività, se l’altro, l’amato, non è solo per me – mio alleato, amico, amante -, ma anche di fronte a me – mio avversario – (attenzione non nemico ma avversario, che è diverso!). Se è colui o colei che mi pone anche delle barriere di crescita con il suo modo d’essere, con il suo pensiero, con il suo sentire, con il suo modo d’agire.
Dice infatti un versetto del Cantico dei Cantici – sempre in una traduzione più vicina all’ebraico -: ‘Solo la forza dell’amore rende capaci di mutazioni’, ovvero solo l’equilibrio tra amore e forza rende capaci di graduali passaggi fino al compimento.
Infine cosa dire, credo che questo momento storico sia potenzialmente aperto alla poesia: i nostri ragazzi usano un linguaggio scarno, fatto di immagini, spesso povero però di contenuti.
La fascinazione che potrebbe avere la poesia, soprattutto sui giovani, potrebbe essere salvifica, ma non ci sono spazi o agenzie educative che promuovano questa dinamica. Ecco perché dicevo che questo è un tempo potenzialmente aperto alla poesia, ma di fatto non lo è. Ciò che fa tendenza sono i Noire, i libri di cucina, e non ci sono liste di gradimento o hit del momento per i testi poetici.
Ci stiamo perdendo qualcosa!
Per concludere, tornando al testo, come potrete leggere anche nella Nota posta all’inizio del mio libro, ciò che desidero dalla pubblicazione di queste poesie non è sollecitare l’attenzione su me stessa e la mia storia, cosa interessante peraltro solo per chi mi ama e vive con me, ma permettere ‘uno sguardo dentro la storia di ciascuno’. E se uno solo dei miei versi avrà posto domande sulla direzione del percorso che ognuno ha intrapreso, allora sarò felice di questa condivisione.
Sì, perché io non credo nella scrittura che non lascia il segno.
Se leggo qualcosa pretendo che dia qualcosa alla mia vita, che favorisca un cammino di mutazione… altrimenti leggere le etichette dei prodotti al supermercato e leggere un libro sarebbe la stessa cosa. E non lo è.
I libri hanno il potenziale e anche il dovere di mutare le cose, di tirare fuori la vita dagli sbadigli distratti.
E devono farlo.